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L’Italia si è già spaccata
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 6/2/2019
Il regionalismo differenziato in salsa leghista, ancora avvolto nelle nebbie della trattativa privata e segreta tra la ministra Stefani (leghista) e la controparte (leghista), sta già spaccando il Paese. Nella omertà delle forze politiche si aprono crepe significative. Il 30 gennaio il consiglio della Regione Calabria approva all’unanimità una risoluzione che segnala “conseguenze gravi in termini di mancata garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni a favore dei cittadini delle altre regioni italiane”; nonché “profili allarmanti sul versante della potenziale lesione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, tra i quali l’uguaglianza di tutti i cittadini (art. 3) e l’unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5). Chiede una ampia partecipazione per un regionalismo solidale, e un coordinamento tra le regioni del Sud. Diffida il governo a non trasferire “poteri e risorse ad altre Regioni sino alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117 Cost.). Da Milano, il 1° febbraio il sindaco Sala su questo giornale attacca a fondo il regionalismo in salsa lombardo-veneta. Per una parte i suoi argomenti riflettono il dualismo competitivo inevitabile tra regione e città metropolitana. Un iper-regionalismo può essere assai più soffocante del centralismo statalista. Ma per un’altra parte i suoi argomenti – del tutto condivisibili – sono contro l’accrescersi delle diseguaglianze, e la rottura della solidarietà. Le parole di Sala trovano ampia eco già in un documento Anci-Upi del 5 luglio 2018. Per contro, la giunta regionale della Liguria approva da ultimo un documento, prodromico alla richiesta di maggiore autonomia (Secolo XIX, 4 febbraio). A quanto si legge, viene chiesto il trasferimento alla Regione delle infrastrutture autostradali (per i tratti liguri) e delle competenze di programmazione, progettazione e regolazione; il trasferimento delle infrastrutture ferroviarie; il trasferimento di tutti i demani portuali e delle funzioni di regolamentazione dell’assetto del sistema portuale e del sistema di governance. Seguono poi le usuali richieste per ambiente, beni culturali, sanità, istruzione. Ma quel che emerge con chiarezza è il disegno di operare sulla infrastruttura per acquisire alla Liguria il ruolo di primario terminale sud dell’Europa. Nessuna considerazione dei costi, politici ed economici, che tale percorso impone al resto del paese. Che idea di Italia hanno in mente i proponenti e sostenitori dell’autonomia differenziata fin qui proposta e gestita? Qualunque sia, è palesemente incompatibile con una vera unità. Prima o poi – anzi, più prima che poi - un regionalismo sbilanciato morderà profondamente e dolorosamente nella vita quotidiana di una parte del Paese. E a quel punto chi avrà taciuto, tollerato, giustificato, finto di non capire o non vedere, riceverà il conto, politico ed elettorale. Primo candidato a riceverlo sarà M5S. Sta imparando la dura lezione che si governa parlando non ai fan e ai militanti, ma al Paese. Da qualche parte un errore deve esserci, se stando a Palazzo Chigi si perdono in pochi mesi 8 o 9 punti nei sondaggi rispetto ai risultati elettorali. Parole d’ordine e slogan non bastano. Per Di Maio la Campania avrà due miliardi dal reddito di cittadinanza. Bene. Ma analisi del tutto credibili mostrano che ne perderà di più con l’autonomia lombardo-veneta. Dunque? Non va meglio con le altre forze politiche. Il Pd affonda nelle convulsioni interne, e in primarie come sempre avvelenate. In più, la presenza dell’Emilia-Romagna tra le regioni richiedenti autonomia e risorse blocca ogni iniziativa seria. De Luca, dopo il consiglio regionale del 15 gennaio, non risulta abbia davvero preso le armi. Se lo ha fatto, ci informi. E cosa intende fare ora sulla iniziativa della Calabria? De Magistris, lanciato or mai verso le europee, non si occupa del problema. Poche deboli parole, lontanissime dalla ferma posizione di Sala. Quanto alla sinistra che fu, si esaurisce nei dibattiti sul come e con chi. Ma non si può alla lunga far digerire qualunque cosa al popolo bue. Studiosi, istituti prestigiosi come la Svimez, persino gli industriali sono scesi in campo. Si moltiplicano denunce, analisi, proposte, che trovano spazio sulla stampa, a partire da questo giornale. Ne discutiamo all’Istituto di Studi filosofici, sabato 9 febbraio alle 10.30, Mazzarella, Giannola, De Vivo e io stesso. Modera Ottavio Ragone.
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