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Il Sud impoverito e il Veneto ringrazia il vicepremier Di Maio
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 4/12/2018
Luigi Di Maio, parlando a Treviso, si è impegnato per un rapido - anzi rapidissimo – accoglimento della richiesta di maggiore autonomia ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione avanzata dal Veneto. Si ipotizza un voto in Consiglio dei ministri entro Natale per una legge di iniziativa governativa, da approvare – presumiamo – sotto uno stretto vincolo di maggioranza. Siamo alla conclusione della vicenda iniziata con i referendum leghisti nel lombardo- veneto del 2017. Capiamo bene che Di Maio voglia arginare Salvini e la Lega. Ma sulla maggiore autonomia per alcune regioni ormai è stato sollevato il velo, da me su queste pagine, e da altri. Non si può fingere di non sapere o di non avere capito, come se si trattasse di spostare qualche faldone di carte dal centro alla periferia. Si punta a un disegno radicalmente diverso del rapporto tra Stato e regione, con l’assegnazione, insieme a più ampie competenze, di maggiori risorse. Il governatore Zaia vorrebbe addirittura parametrarle alla maggiore capacità fiscale. In breve, più risorse ai più ricchi, proprio perché più ricchi. Come? Trattenendo una maggior quota dei proventi tributari riferibili al territorio. La richiesta iniziale del Veneto giungeva al 90%, e si commenta da sé. Non sappiamo se sia stata ridotta, o quanto. È un ritorno – in forme nuove – della Lega secessionista. Per il governo Gentiloni - già dimissionario e nell’imminenza del voto - un sottosegretario allora Pd nato a Belluno ed eletto in Trentino, poi là rieletto e ora non più Pd, stipulò un accordo preliminare con tre regioni richiedenti ( Veneto, Lombardia, Emilia- Romagna). Il contenuto non è mai stato pubblico. Tuttavia, l’accordo è entrato come priorità nel contratto di governo. Forse, chi ha scritto il contratto sapeva e ha capito, e chi ha solo letto o firmato senza leggere non sapeva o non ha capito. Perché accettando la richiesta del Veneto si creano cittadini di serie A e di serie B o C, e si cancella definitivamente il connotato nazionale e unitario di servizi essenziali come l’istruzione o la sanità. Inoltre, si introducono diseguaglianze che diventerebbero di fatto irreversibili, perché sanabili solo attraverso una nuova legge che dovrebbe – per il dettato costituzionale - trovare l’iniziativa e il consenso della regione beneficiaria. E chi vorrebbe mai rinunciare a un vantaggio conquistato? La legge che si vorrebbe ora approvata dal Parlamento sarebbe persino sottratta – secondo la giurisprudenza Corte costituzionale – al referendum abrogativo ex articolo 75 della Costituzione. Se il resto del paese volesse cancellare per via referendaria l’errore fatto, non potrebbe. Quanto e a chi costi tutto questo non è, al momento, di pubblica conoscenza. Ma Di Maio si è impegnato. Forse sapeva di cosa parlava, o forse no. Certo, non possiamo addebitargli tutte le colpe. Ne ha il centrosinistra, che forzò nel 2001 la riforma del titolo V della Costituzione, incluso il famigerato articolo 116. Lo stato maggiore sperava così di recuperare voti nelle regioni del Nord, dove nelle elezioni ormai vicine si profilava una pesante sconfitta, che poi venne comunque e fu devastante. Ne ha la Corte costituzionale, che nella sentenza 118/ 2015 si pronuncia sul referendum veneto per una maggiore autonomia. Afferma – come ha già fatto in passato – che l’unità della Repubblica è valore assolutamente intangibile, e che i referendum regionali, anche consultivi, non possono coinvolgere scelte di livello costituzionale. Ma rimane chiusa in una lettura formalistica, senza cogliere la portata e l’impatto sostanziale del referendum, né il rischio per l’unità. Perché non può esservi unità laddove non c’è una eguaglianza di diritti tra tutti i cittadini, o una solidarietà che renda quella eguaglianza almeno un obiettivo possibile. La gente del Sud, protagonista assoluta nel portare M5S a Palazzo Chigi, lo ha impegnato a salvaguardare gli interessi della propria terra. È un debito d’onore contratto da M5S con i milioni di donne e uomini che nel Sud lo hanno votato. Di Maio lo dimentica quando mendica consensi in casa leghista, barattando un piatto di lenticchie - il reddito di cittadinanza – con un danno potenzialmente grave, permanente, irreversibile. Non basta certo richiamare il contratto di governo. Per di più, il centrosinistra del 2001 ci fa pensare che non sarà questo baratto a risollevare le sorti declinanti di M5S. Marx diceva che la storia si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. A noi del Sud tocca ora la seconda. Ma non ci fa ridere.
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