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Il voto per il referendum è una battaglia per il Sud
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 8/6/2025
Abbiamo un ritorno di fiamma sul terzo mandato. Ci eravamo illusi che la questione fosse ormai chiusa, e che si potessero privilegiare temi più meritevoli. Ci sbagliavamo. Aurelio Musi su queste pagine descrive bene la scacchiera e le mosse in atto. E' netta la sensazione che la politica al momento null'altro offre che il risiko sulle candidature. Eppure, il voto è vicino, anzi vicinissimo considerando che in mezzo c'è l'estate. Mentre gli effetti del terremoto geopolitico non risparmiano certo la regione Campania, e più in generale il Sud. Basta pensare allo scontro tra Usa, Europa e Cina sui dazi, che può avere un impatto pesante. Non sappiamo - prescindendo dalle interessate rappresentazioni che vengono da Palazzo Chigi - se l'Italia riuscirà davvero a incidere. In ogni caso, sarebbe essenziale che un Mezzogiorno da trenta anni espunto dall'agenda politica del paese ritrovasse in questa fase una voce e un peso, per orientare le scelte nazionali. Su questo la rissa infinita su candidati e poltrone conta poco o nulla. L'ultima prova della perdurante afasia del Mezzogiorno la vediamo nella approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge delega sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Le entusiastiche dichiarazioni con cui Calderoli ha accompagnato il voto (unanime) dei colleghi di governo sono una pubblicità ingannevole. La maggioranza non dà alcun seguito alle molteplici indicazioni poste al legislatore dalla Corte costituzionale nella sent. 192/2024, essenzialmente in chiave di unità del paese. Si limita a un rattoppo reso inevitabile dalla incostituzionalità della delega come prevista. Ma i Lep in Costituzione puntano a una riduzione dei divari territoriali, per una migliore tutela dei diritti. Si richiederebbe una quantificazione dei divari e delle risorse necessarie a ridurli, in tempi ragionevoli. Nulla di questo è nel ddl governativo. Basta pensare che si conferma l'invarianza di spesa già prevista dalla legge Calderoli. Per Palazzo Chigi i Lep si faranno utilmente il giorno del poi dell'anno del mai. Solo trovando una sua voce il Mezzogiorno può incidere sugli equilibri politici che lo emarginano. Lo abbiamo visto con la raccolta di firme per il referendum sull'autonomia, in cui il forte contributo del Sud ha sorpreso molti e spaventato non poco la maggioranza di governo. Purtroppo, la Corte costituzionale si è poi pronunciata - sbagliando – per l'inammissibilità. Ma da quella vicenda vengono due indicazioni per il voto referendario dell'8 e 9 giugno. La prima. È anzitutto evidente che i quesiti referendari toccano snodi cruciali della realtà meridionale. Una realtà profondamente segnata da lavoro precario, sottopagato, in nero, svolto in condizioni in cui la sicurezza è un optional. Fanno sorridere le analisi su uno slancio del Sud che cresce più del Nord. È decisivo il dato dei diversi punti di partenza. Qui la vittoria dei sì nei quattro referendum sul lavoro avrebbe il massimo impatto. Quanto al referendum sulla cittadinanza, la Svimez ci dice da ultimo che il sì vincente ci darebbe più di 1.400.000 nuovi cittadini, di cui oltre 200 mila al Sud, e circa 40 mila in specie nella città di Napoli. Un aiuto rilevante contro la perdita di popolazione già in atto e il rischio di desertificazione. La seconda. Anche prescindendo dall'alternativa tra sì e no, è il votare in sé che rafforza il Mezzogiorno. Circola l'opinione che l'astensionismo al Sud sarà particolarmente alto. Bisogna dimostrare che è sbagliata. Sorprendiamo il paese come è accaduto con la raccolta firme sull'autonomia differenziata. È un passaggio essenziale per smontare la narrazione interessata e ingannevole che il Mezzogiorno è il vagone lento, la palla al piede che frena l'Italia. A chi magari da anni non va più alle urne sottolineo che il voto referendario è diverso da qualsiasi altro voto. Anzitutto, è un voto non su astratti progetti politici, ma su questioni concrete, che toccano la vita e i diritti di tutte e tutti. Inoltre, è il solo voto in cui non deleghiamo qualcuno a rappresentarci, a scegliere in nome e per conto nostro. Votiamo per decidere, facendo pesare la nostra scelta nella decisione collettiva. E non valgono i motivi per cui ci siamo astenuti nell'elezione di assemblee rappresentative. Non a caso, penso che oggi una robusta iniezione di democrazia diretta sia la cura necessaria per democrazie in affanno, come la nostra. E per questo l'8 e 9 giugno è importante votare, comunque.
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