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Autonomia, il valore di una battaglia
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 16/11/2024
Il comunicato del 14 novembre della Corte costituzionale segna la chiusura di una vicenda nata anche, da alcuni anni, sulle pagine di Repubblica Napoli. In due articoli (25 e 27 gennaio scorsi), in particolare, proponevo che una o più Regioni avanzassero ricorso in via principale contro la legge per l’Autonomia differenziata (AD), in quei giorni approvata in prima lettura in Senato. Fino ad allora la sola ipotesi in campo era quella di un referendum abrogativo. Ho poi ripreso più volte la proposta nei mesi successivi. È stata anche fatta propria dalla Via Maestra riunita intorno alla Cgil con una lettera ai presidenti di regione. Conclusivamente, Campania, Puglia, Toscana e Sardegna hanno presentato ricorso. La Consulta ha ora deciso, e a quanto si dice la sentenza sarà depositata il 10 dicembre. Le ragioni della mia proposta erano essenzialmente due. Una guardava alla necessità di rispondere con prontezza alla pressante iniziativa leghista. Una strategia referendaria, anche a non voler considerare la possibile inammissibilità, non sarebbe arrivata al voto popolare prima dell’aprile-giugno 2025, e si poteva anzi temere uno slittamento all’aprile-giugno 2026. Un paio di anni concessi ai fan dell’AD per disarticolare il Paese, con danni irrecuperabili. Bisognava avere anche una strategia di pronto intervento. L’unica possibile era il ricorso in via principale da parte di una o più regioni entro sessanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta della legge di AD. Il ricorso avrebbe consentito una risposta pronta all’arroganza leghista, ma avrebbe anche aperto – e qui troviamo la seconda ragione della proposta – a effetti di più ampia portata. Infatti, un referendum avrebbe sì cancellato nel caso di successo la legge Calderoli, ma l’abrogazione non avrebbe posto alcun ostacolo giuridico alla lettura in chiave leghista dell’AD, o precluso la stipula di intese in base all’art. 116.3 della Costituzione. Invece, una dichiarazione di incostituzionalità avrebbe prodotto effetti non solo sulla legge Calderoli, ma anche su qualsiasi successiva attuazione dell’AD. Avrebbe potuto infatti disegnare gli argini costituzionalmente insuperabili per le richieste di autonomia, con una corretta lettura dell’art. 116.3. Questo è accaduto, ed è una buona notizia per il Mezzogiorno e per il paese tutto. Leggeremo la sentenza, ma già dal comunicato si trae che la Corte ha disegnato quale AD sia coerente con il complessivo assetto costituzionale. In specie, l’AD deve essere interpretata nel contesto dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini; deve osservare nella distribuzione delle funzioni il principio costituzionale di sussidiarietà; deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative ed essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà. Al di là del giuridichese, si trae che l’AD non può tradursi - come invece vorrebbero i leghisti – in uno shopping nel supermercato delle competenze in vista di indimostrati e indimostrabili vantaggi nella gestione della cosa pubblica. La dichiarazione di incostituzionalità colpisce per vari profili – tra cui l’emarginazione del parlamento – la determinazione e l’aggiornamento dei Lep, la compartecipazione al gettito dei tributi erariali, il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, e l’applicazione alle regioni a statuto speciale. Si aggiungono poi altre previsioni della legge che la Corte non ha dichiarato incostituzionali, ma ha interpretato indicando la lettura conforme a Costituzione. La pronuncia incide in profondità sulla legge 86/2024. Non fa cadere, a mio avviso, il quesito referendario totalmente abrogativo, perché la legge sopravvive alla dichiarazione di illegittimità di singole parti, e dunque non viene meno l’oggetto del quesito. Diversa conclusione potrebbe aversi per il quesito parziale, laddove fossero dichiarate illegittime le norme che ne sono oggetto. In ogni caso, si pronuncerà sul punto la Corte di Cassazione. Calderoli nell’intervista al Corriere della sera (15.11) ci dice che il negoziato sulle intese procede come prima, senza problemi. Ci ricorda il pugile che fa mostra di non avere incassato un colpo quasi da Ko. Gli leggiamo quel che dice il comunicato in chiusura: la Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi approvative di intese. È una formale diffida a non cercare di far rientrare dalla finestra l’AD che oggi con la sentenza adottata la Corte ha fatto uscire dalla porta. Calderoli se ne faccia una ragione.
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