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Regioni, anche se Meloni frena servono i ricorsi
di Massimo Villone da il Fatto Quotidiano del 17/9/2024
Compare sulla stampa la notizia che Palazzo Chigi pensa di mettere le riforme in stand-by. E prudente aspettare, e intanto puntare sulla legge di Bilancio. La scelta riflette la fragilità di una maggioranza scossa da competizione interna, inadeguatezza, passi falsi. Sei gli anni di reclusione chiesti per Salvini. Toti patteggia 1.500 ore di servizi sociali. Il caso Sangiuliano allunga le sue ombre fino a Lollobrigida. Crosetto rende al giudice Cantone dichiarazioni che chiamano in causa i Servizi. Draghi vede Marina Berlusconi prima di Meloni, in un incontro derubricato a occasione di conoscenza già pianificato. E come dimenticare Santanchè, Delmastro, Sgarbi? La parola rimpasto pare non sia più una bestemmia. Ma conta poco, quando gli attacchi alla magistratura e le reazioni scomposte agli eventi evidenziano sindrome complottista e voglia di democratura. In un simile contesto è ormai insostenibile arroganza la pretesa di riscrivere in una chiave di destra la storia e la Costituzione del paese. Tra l’altro, la madre di tutte le riforme - il premierato, in appalto a FdI – dà chiari segni di una gestazione difficile, e magari di un aborto spontaneo. La giustizia, appaltata a FI, non se la passa meglio. Solo l’autonomia differenziata (Ad) in quota Lega vede Calderoli scalpitante per avviare - a breve - il negoziato con Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria. Due elementi hanno frenato la spinta leghista: il grande successo delle firme referendarie e i ricorsi di Puglia, Toscana, Sardegna e Campania contro la legge 86/2024. La reazione è stata rabbiosa. Dapprima volta a sminuire il peso politico delle firme (raccolte “dal divano”), poi a prospettarne la inutilità (per “smaccata inammissibilità”), infine con l’opposizione in Consulta di Veneto e Piemonte contro le regioni ricorrenti. Lo scambio di lettere tra Zaia e Zuppi, presidente Cei, è l’ultima prova che la Lega vuole mantenere alta la pressione. Stand-by per le riforme significa allora per Meloni mettere la mordacchia a Calderoli per alcuni mesi, almeno fino alle decisioni della Consulta e poi si vedrà. Due domande: lo farà? E le opposizioni? Sulla prima. Meloni potrebbe fermare Calderoli limitando il negoziato, come la legge 86/2024 prevede. Ma non dà segnali in tal senso. Ne segue che Calderoli potrebbe giungere fino al Consiglio dei ministri con uno schema di intesa preliminare, anche fra poche settimane. Di certo non lo ferma la legge di Bilancio, o la necessità di allinearsi alle altre riforme, pur essendo già note le voci contrarie nella maggioranza. Al tempo stesso, la Presidenza del Consiglio dovrà parlare in Corte, attraverso l’Avvocatura dello Stato, per l’inammissibilità del referendum e per il rigetto dei ricorsi. Meloni non potrà mettere a lungo il silenziatore sull’Ad. Sulla seconda. Nei prossimi mesi sarà cruciale il ruolo delle opposizioni in Parlamento. Chiusa la raccolta firme, bisognerà mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica. Per questo è indispensabile far emergere in dettaglio, attraverso il sindacato ispettivo, e tenendo conto della informativa che la legge 86/2024 prevede per le Camere, i termini del negoziato in corso, acquisendo le richieste delle regioni, le risposte dei ministeri, e gli orientamenti del governo nella trattativa. E non deve mancare una valutazione attenta delle posizioni dell’Avvocatura dello Stato in Consulta. Un ruolo importante spetta poi alle regioni, e non più per la presentazione di quesiti referendari. A fronte delle firme raccolte, è ormai inutile il quesito di abrogazione totale, e potenzialmente dannoso un quesito parziale che lasci in larga misura intatto l’impianto legislativo. Contraddice sia il quesito di abrogazione totale, sia i ricorsi presentati, che censurano la legge Calderoli in ogni sua parte. È auspicabile che martedì 17, chiamato di nuovo a deliberare sui quesiti, il Consiglio regionale della Puglia non deliberi affatto, o almeno deliberi il solo quesito di abrogazione totale. Il ruolo delle regioni va invece focalizzato sui ricorsi. L'obiettivo è ottenere dalla Consulta una lettura corretta dell’art. 116.3 Cost, tale da avere un impatto non solo sulla legge impugnata, ma su ogni successiva attuazione legislativa e sub-legislativa dell’Ad. Un effetto cui non arriverebbe una legge statale di iniziativa regionale correttiva della legge Calderoli. L'ipotesi è emersa in un incontro tra i presidenti del Sud - Bardi, De Luca, Emiliano e Occhiuto, più Bonaccini - a Matera il 13.09. Se anche avesse successo, non potrebbe vincolare una successiva e diversa attuazione dell’Ad. Darebbe un messaggio di inutilità della battaglia referendaria, nell’ambito di una recita con i governatori come comparse. Sappiano che il ricorso è il solo strumento che può renderli credibilmente protagonisti.
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