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Autonomia delle Regioni, gli errori di Di Maio
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 24/8/2019
Un Mattarella corrucciato e palesemente insoddisfatto ha dato qualche giorno alle forze politiche per mettere sul tavolo una proposta concreta e praticabile di soluzione della crisi. Martedì si parte sul serio, o ci si avvia alle urne. Vedremo. La dietrologia sulle intenzioni di Zingaretti e di Maio, con reciproche diffide a adempiere e richieste di abiura, non interessa. Riprendiamo invece Di Maio – dopo il colloquio con Mattarella sulle autonomie. Anticipa la strategia sul Mezzogiorno, e per alcuni nasconde un assist alla Lega. «Va completato il processo di autonomia differenziata richiesta» da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, con la contemporanea istituzione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per garantire a tutti i cittadini gli stessi livelli di qualità dei servizi. Una impostazione debole e inaccettabile, per almeno tre motivi. Il primo. L’obiettivo dei Lep non è perseguire l’eguaglianza nei diritti, ma impedire l’eccesso di diseguaglianza. I posti letto per abitanti nel sistema ospedaliero, o le risorse assegnate per studente nel sistema scolastico, possono essere collocati, in una scala da 0 a 100, più in alto o più in basso, e la scelta è politica. Il livello così definito è ad un tempo la misura della eguaglianza prescritta, e della diseguaglianza consentita. Il secondo. I Lep per definizione possono correggere solo in parte lo squilibrio inaccettabile tra Nord e Sud nella assegnazione delle risorse pubbliche, ormai ampiamente documentato, e che deve trovare una risposta nel quadro dell’autonomia differenziata. Non basta affiancare un piano straordinario per il Sud. Un indirizzo politico che potrebbe cambiare in ogni momento non bilancia una scelta strutturale praticamente irreversibile. Il terzo, e decisivo, punto. I Lep non prevengono né correggono una Italia di staterelli. Una cifra esattamente uguale per tutto il paese di risorse pro capite, o di metri quadrati disponibili o di studenti per classe o per docente, non fermerebbe la integrale regionalizzazione della scuola. Non ne verrebbe alcun ostacolo a ruoli regionali per docenti e dirigenti, o a programmi e finalità dell’istruzione definiti dal potere politico locale. Né i Lep si opporrebbero alla regionalizzazione di porti, aeroporti, ferrovie, strade e autostrade, o a una cassa integrazione regionale, o ancora al trasferimento al demanio o patrimonio indisponibile delle regioni di pezzi del demanio statale o di beni culturali di valenza universale come l’Ultima cena di Leonardo, il Colosseo o gli scavi di Pompei. Né, infine, ne verrebbe alcun ostacolo per la strategia separatista di un “grande Nord” che si aggancia come vagone di coda all’Europa dei forti (oggi meno di ieri) e lascia affondare il resto del paese. Ai Lep bisogna aggiungere una strategia sulla organizzazione dei poteri pubblici. M5S ha stipulato il contratto con la Lega forse senza capire, e ancora oggi sembra capire a metà. Le materie richiamate da lombardi, veneti, emiliani non vanno lette nel senso che esista un diritto delle regioni alla maggiore autonomia, che va invece legata a effettive specificità territoriali, nei limiti posti dal sistema costituzionale complessivamente inteso, ed in specie dal principio intangibile di unità e indivisibilità della Repubblica. Ci sono confini non superabili, tra cui la scuola, le infrastrutture strategiche, l’ambiente, i beni culturali, il lavoro. Quindi, cosa significa «completare il processo»? Riprendere le inaccettabili bozze Stefani, magari con qualche limatura, e portandole a ratifica senza emendamenti? Si impone un ripensamento radicale. Non possiamo attenderci un ravvedimento operoso del Pd, come ho già argomentato su queste pagine. L’Osservatorio istituito presso il dipartimento di Giurisprudenza della Federico II potrà svolgere un ruolo essenziale. Fontana promuove gli oppositori da “cialtroni” a “sfascisti”. Ma sono medaglie vinte con pieno merito dagli aspiranti secessionisti. Può non interessare che elezioni immediate sarebbero probabilmente rovinose per il Pd, e ancor più per M5S. Ma interessa che un centrodestra a fortissima trazione leghista potrebbe avere i numeri per cambiare la Costituzione, con un premier che ha già chiesto al popolo i pieni poteri. Si impone un salto di qualità. Basta con la voglia di Zingaretti di riappropriarsi della rappresentanza parlamentare oggi troppo renziana, quella di Renzi di recuperare centralità, o quella di Di Maio di rimanere in gioco. La politica è sempre, inevitabilmente, un mix di miseria e nobiltà. Cerchiamo di non esagerare con la miseria.
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